La dieta a basso indice glicemico (LGIT) per l’epilessia è stata sviluppata nel 2002 al Massachusetts General Hospital dalla dietista Heidi Pfeifer e dalla Dr.ssa Elizabeth Thiele. Questa dieta rappresenta un alternativa al protocollo chetogenico classico in quanto più della metà dei pazienti trattati ha riscontrato un miglioramento nel controllo delle crisi (Kossoff et al., 2016). Alla base della dieta vi è la distinzione fra carboidrati ad alto e basso indice glicemico (IG), ovvero con capacità differente di alzare più o meno velocemente il livello di glucosio nel sangue.

LE DIFFERENZE RISPETTO ALLA DIETA CHETOGENICA CLASSICA

La dieta è più libera rispetto alla dieta chetogenica classica e mira ad abbassare i livelli di glucosio nel sangue (glicemia) permettendo il consumo di una quota prestabilita (40-60 gr/die) di carboidrati, purché questi siano a “basso indice glicemico”. L’indice glicemico descrive la tendenza degli alimenti ad aumentare la glicemia. Alimenti che innalzano velocemente la glicemia sono, ad esempio, lo zucchero, il riso, il pane bianco mentre alimenti a basso indice glicemico sono alcuni tipi di verdura e alcuni tipi di frutta secca. Proteine e lipidi possono essere invece consumati senza dover essere pesati. Il livello di corpi chetonici nel sangue e nelle urine risulta inferiore se paragonato a quelli della dieta chetogenica classica, tanto che a volte risultano irrilevabili. Alla base della efficacia della LGIT non sembra comunque esserci l’innalzamento della chetosi: l’efficacia della dieta sembra infatti correlata all’abbassamento e stabilizzazione dei livelli di glicemia e insulina (Pfeifer et al., 2008), anche se questa associazione non è presente durante tutto il periodo di dieta ma specialmente a un mese e a un anno dall’inizio del trattamento (Muzykewicz et al., 2009). La LGIT viene sconsigliata, oltre che per le patologie per la quale anche la dieta chetogenica classica è controindicata, anche per i pazienti affetti da PDHD o da GLUT1-D, a causa del maggiore introito glucidico (Kossoff et al., 2016).