Definizione e presentazione clinica

Il neurologo J.H. Jackson nel 1873 per primo definì la crisi epilettica come “… una scarica improvvisa, eccessiva e rapida di una popolazione più o meno estesa di neuroni che fanno parte della sostanza grigia dell’encefalo”. Clinicamente una crisi si può manifestare con sintomi motori, sensitivi, autonomici o psichici a seconda delle regioni cerebrali coinvolte dalla brusca ed anomala attivazione dell’encefalo (Mazzoleni et al., 2010).

L’epilessia, classificata non più come disordine ma come malattia dal 2014 (Fisher et al., 2014), è caratterizzata da una serie di disturbi che portano ad una predisposizione del cervello a generare crisi epilettiche. Classicamente la diagnosi di epilessia viene formulata in seguito a due crisi epilettiche, non provocate, distanziate tra loro da almeno 24 ore (Mazzoleni et al., 2010). Recentemente l’ILAE – International League Against Epilepsy – e l’IBE – International Bureau for Epilepsy – hanno ampliato i criteri diagnostici.

Le conseguenze di questa patologia non sono solo neurobiologiche, ma anche cognitive, psicologiche e sociali.

La crisi epilettica è, nella grande maggioranza dei casi, di breve durata e cessa spontaneamente.

Una particolare manifestazione di tipo epilettico è lo stato di male epilettico, situazione clinica nella quale una crisi si prolunga per più di venti minuti o nella quale le crisi si ripetono a brevissimi intervalli tali da rappresentare una condizione epilettica continua.

Per avere più informazioni sull’epilessia ti consigliamo di scaricare il Booklet informativo “Guida alle Epilessie” della LICE – Lega Italiana Contro l’Epilessia.